mercoledì 24 giugno 2009

Quella volta in cui Banksy disse: "Nel futuro ci saranno così tante persone famose che ognuno avrà diritto ai suoi 15 minuti di anonimato"


Siccome ultimamente si parla assai di una mia vecchia passione, Banksy, posto qui il pezzo che scrissi su di lui per Rolling Stone. La data esatta non la ricordo e non riesco a trovarlo nell'archivio di RS, ma saranno più di due anni fa, prima quindi che la vera identità di Banksy fosse svelata (e prima dell'articolone che gli dedicò il New Yorker nel maggio del 2007).


Chiamare Grimsby Street una via è un evidente eccesso di ottimismo. In realtà si tratta di un vicolo cieco che parte più o meno a metà di Brike Lane, appena passato il ponte, e costeggia la ferrovia. E’ corta e stretta, ed è uno di quei posti dove è sempre meglio andarci accompagnati e di giorno. Quello che rende oggi Grimsby Street un’attrazione per i turisti sono i graffiti che ricoprono il muro lungo tutta la lunghezza della strada: una specie di enorme Buddha verde, una donna con orecchini pendenti e un gran nasone, un altro viso di donna – enorme anch’esso - con una maschera di gatto e i capelli color fucsia. Di Banksy, a Grimsby Street, è rimasto poco o nulla. Eppure, anche lui ha iniziato qui. Ma quando - circa quindici anni fa - le sue opere cominciarono a comparire improvvisamente sui muri, i ponti e gli edifici pubblici di Londra e di altre città britanniche, il trattamento che ricevevano era di essere coperte o cancellate immediatamente dalle autorità locali. Oggi, i cittadini inglesi si svegliano sperando di trovare il muro del loro palazzo imbrattato da uno dei suoi disegni. Non è siano tutti improvvisamente diventati pazzi per i graffiti. Il fenomeno riguarda quasi esclusivamente lui. E’ che - al giorno d’oggi - avere un Banksy rende soldi, tanti soldi. Tre anni fa la casa d’aste Bonhams - la prima a vendere un suo lavoro – strappò 580 sterline (circa 860 euro) per una sua opera. Lo scorso 25 ottobre, la Bonhams ha venduto per 100 volte la cifra precedente l’immagine di due individui che si abbracciano con degli elmetti da sub in testa: per capirci, la stessa che compare sulla copertina di Think Tank, il disco dei Blur il cui artwork è stato curato, appunto, da Banksy.
Dell’uomo che sta dietro a questo soprannome si sa in realtà poco. Il suo vero nome potrebbe essere Robert Banks o Robin Banksy o nessuno dei due. Essendo la sua attività illegale, è comprensibile che non ami rilasciare interviste. Fotografie non ne esistono. Dotarsi di una faccia, uscire allo scoperto, significherebbe la fine della sua arte. Il giornalista del Guardian Simon Hattenston - uno dei pochi ad averlo incontrato – lo descrive come un mix tra l’attore inglese Jimmy Nail e Mike Skinner, cioè The Street. Bianco, sui 30 e con un dente d’argento. Altre cose che si sanno di lui: è nato a Bristol e qui ha cominciato la sua attività di graffitaro. A quattordici anni viene espulso da scuola, ritorna, finisce in galera per piccoli reati e non ci torna più. I graffiti, dice, lo fanno sentire per la prima volta bene con se stesso, gli danno una voce. “Ho cominciato con lo spray” racconta al Guardian “ma facevo schifo. Allora sono passato agli stencils”.
Le sue opere sono immagini semplici, quasi sempre ironiche e divertenti, semanticamente accessibili e con un livello simbolico piuttosto elementare. Una Monna Lisa che tiene in mano un lanciamissile. Due bobby che si baciano appassionatamente. John Travolta e Samuel Jackson nella tipica posa di Pulp Fiction che in mano - invece delle pistole – stringono due banane. Parte della fascinazione che sta attorno al personaggio è senz’altro dovuta al suo anonimato. Solo nell’ultimo anno, la casa d’aste inglese Sotheby’s ha venduto tre delle sue opere per cifre mai inferiori alle 50 mila sterline (74 mila euro). In nessuna delle occasioni, Banksy era presente alle vendite. A Sotheby’s sostengono che nessuno gli ha mai parlato direttamente. Tutte le trattative sono sempre condotte con il suo agente, Steve Lazarides. Sebbene la sua faccia non si sia mai vista, il suo nome non è mai stato così presente. Astenendosi da giudizi artistici, ma limitandosi alle sole considerazioni economiche, il Financial Times ha decretato questo come l’anno di Banksy. Lui, più di altri, è il simbolo di un’attività che nata come un’espressione di subcultura, carbonara e illegale, sta diventando un fenomeno mainstream, soprattutto tra chi un Banksy se lo può permettere, “ giovani quarantenni facoltosi che lavorano nella comunicazione” secondo l’identikit del tipico compratore fatto da Emma Cork, pr della Bonhams. E da quando la subcultura ha cominciato a fare soldi, Banksy ha anche cominciato ad alzare il tiro. Accanto alle tradizionali incursioni all’aperto, di recente si sono aggiunte sempre più numerose azioni di vera e propria guerriglia artistica. A novembre Banksy piazza una bambola gonfiabile vestita con la tuta arancione dei detenuti di Guantanamo all’interno di Disneyland. Ci vogliono 90 minuti prima che la sicurezza del parco giochi se ne accorga e la rimuova. Un portavoce dell’artista dichiara che l’azione ihttp://www.blogger.com/img/blank.gifntendeva “portare l’attenzione sul clima di terrore e sospetto che circonda le attività all’interno del centro di detenzione di Cuba”. Qualche settimana prima, in diversi negozi di dischi del Regno Unito, sostituisce qualcosa come 500 copie del cd di Paris Hilton con cd da lui contraffatti. Le nuove canzoni remixate portano titoli del tipo “What am I famous for?” o “What I have done?”, mentre la foto di copertina raffigura Paris nuda con una testa di cane al posto della sua. Siccome durante la sostituzione dei cd i codici a barre rimangono gli stessi, molti acquirenti non si accorgono dello scambio e si portano a casa il cd customizzato Banksy. In pochi – pare – torneranno al negozio reclamando l’originale. Nel 2005 Banksy era addirittura riuscito a piazzare una roccia raffigurante una finta incisione preistorica di un uomo che spinge un carrello della spesa all’interno del British Museum, dopo che, in un solo giorno, era già riuscito a violare quattro musei newyorkesi. Ad agoshttp://www.blogger.com/img/blank.gifto dello stesso anno, si reca in Palestina. Sulla barriera di cemento di West Bank – eretta da Israele per separare il suo territorio da quello palestinese - Banksy graffita nove immagini. I dettagli dell’azione riportati sul suo sito (www.banksy.co.uk, dove sono visibili anche alcuni video delle sue azioni) raccontano di momenti di tensione, con le guardie Israeliane che sparano in aria e gli intimano di smettere, mentre anziani signori palestinesi commentano dicendo che i graffiti “rendono il muro troppo bello, mentre noi vogliamo odiarlo”.
Sempre astenendosi da giudizi artistici di qualsiasi tipo, è chiaro che quelle di Banksy non sono solo divertenti bravate. Piuttosto, una spettacolare forma di marketing. Lui non compare mai, ma l’esposizione mediatica che riceve è immensa. L’anonimato è ovviamente una parte essenziale del gioco: aumenta il senso di mistero attorno alla sua presenza. Lo scorso ottobre Banksy ha organizzato una mostra di tre giorni - intitolata Barely Legal - in un magazzino di Los Angeles: cinquanta opere tra cui l’installazione di un elefante (vero) all’interno di una stanza, pitturato con gli stessi colori della tappezzeria. Ma la notizia che è rimbalzata su tutti i giornali del mondo è un’altra: il giorno dell’inaugurazione Brad Pitt e Angelina Jolie hanno speso oltre 200mila dollari per acquistare tre sue opere, mentre Christina Aguilera per 25mila dollari si è portata a casa una fotografia porno della Regina Vittoria in posa lesbica. Con sponsor di questo calibro è chiaro che le quotazioni di Banksy sono destinate a salire sempre di più. I falsi cd di Paris Hilton, ad esempio, si trovano già su Ebay a prezzi intorno ai 750 dollari. Sempre su Internet si trovano anche degli “stencils kit” per farsi da soli, a casa, i propri Banksy. La cosa che potrebbe complicare la vita ad acquirenti e case d’aste, rendendo sempre più difficile il riconoscimento di un Banksy vero da uno farlocco. Cheyenne Westphal – esperto d’arte contemporanea di Sotheby’s - ha spiegato al Financial Times che non in realtà non è così: “I Banksy veri sono tutti autenticati attraverso il suo agente, Lazarides. L’autenticazione consiste in un certificato che riporta l’impronta di un pollice”. Se si tratti dell’impronta del pollice di Banksy o di quello di Lazarides neanche a Sotheby’s lo sanno. La volontà di Banksy è di tenere separate le sue due anime: quella di artista di strada da quella più commerciale, il graffitaro dall’artista contemporaneo. Con le quotazioni che girano e la popolarità che ha ormai raggiunto, l’operazione è difficile: quanti più vogliono un Banksy, tanto è più alto il rischio che le sue opere – anche quelle degli esordi – finiscano sul mercato a prezzi esorbitanti. Due di queste – provenienti dalla fiancata di un barcone che era ancorato a Bristol e che è stato smantellato - saranno vendute ad aprile da Bonhams. Con un piede ancora sulla strada (che gli consente di rimanere credibile all’interno della comunità graffitara e non farsi dare del venduto) e uno ben saldamente piantato nel lucrativo mondo dell’arte contemporanea, Banksy sostiene che il bello deve ancora arrivare e che lui è solo all’inizio. E a chi gli chiede se abbia intenzione, prima o poi, di uscire allo scoperto, risponde: “Credo che Andy Warhol avesse torto. Nel futuro ci saranno così tante persone famose che ognuno avrà diritto ai suoi 15 minuti di anonimato”.

(Rolling Stone)

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