giovedì 26 novembre 2009

It's a twisted world

L'uomo con cui vorrei avere rapporti di lavoro mi scrive mail in cui mi dice: "Sei nel mio cuore".
L'altro uomo - quello con cui vorrei avere rapporti di tutti i tipi e posizioni, tranne che di lavoro - mi scrive mail in cui mi dice: "Firma l'appello di Saviano su Repubblica".
No, dico.

lunedì 23 novembre 2009

Ancora un po' e mi metto a singhiozzare sulla sua spalla

Vince Vaughn: «The Break up è l'unico film degli ultimi venti anni di Hollywood a non avere un lieto fine: lui e lei non tornano insieme».
Io: «Cosa? Ma ma ma... ma io avevo capito che il finale fosse aperto, che ci fosse una possibilità, che insomma magari non domani ma prima o poi lui e lei sarebbero tornati insieme, ma ma ma.... ».
Vince Vaughn (guardando la sua addetta stampa con l'aria di dire questa è pazza portatemela via): «...».

Un editor per il ministro Bondi, please

"Caro Saviano, ho avuto il piacere di conoscerla attraverso la sua opera ammirando il coraggio nel denunciare le organizzazioni criminali della sua città e di seguire con preoccupata partecipazione i problemi che da quel coraggio sono derivati, le minacce che ha dovuto subire e che la costringono a subire limitazioni nella sua vita quotidiana".
(Quatro righe e c'è già una ripetizione. Non so se ce la faccio a proseguire)

domenica 22 novembre 2009

Just another no carb sunday

Svegliarsi. Prepararsi il tè. Versarne metà sulle lenzuola. Uscire. Andare a pranzo. Resistere stoicamente alle tentazioni del tiramisù e del cremino nel caffè da parte di un uomo che per tutto il pranzo non fa che ripeterti che a maggio eri troppo magra e mica stavi bene e che quattro chili in più cosa vuoi che siano. Andare a fare la spesa. Arrivare alla cassa. Mangiare una noce davanti alla cassiera. Cercare di spiegare i benefici di una dieta iper proteica alla collega della cassiera che ad occhio e croce peserà circa 80 chili e che ha un culo che entra a malapena nella postazione. Sentirsi dire: «Cosa vuoi che me ne importi? Di anoressiche è già pieno il mondo». Rispondere: «Guardi che tra lei e l'anoressia ci sono almeno quindici taglie». Pagare. Tornare a casa.

venerdì 20 novembre 2009

Quella volta in cui Francis Ford Coppola voleva farmi vedere le fotografie della nipotina Romi, la figlia di Sofia


Aspetto Francis Ford Coppola seduta al tavolino di un bar. Quando arriva, non fa in tempo a sedersi che un ragazzo biondo, sbucato da non si sa dove, gli porge un dvd. «Mi dispiace, non posso prenderlo». Il ragazzo fa per insistere, ma lui è categorico: «No». Quando si allontana Coppola fa quasi per giustificarsi: «È una regola che mi sono dato e che non voglio trasgredire». Gli chiedo se scene così succedono spesso. Mi dice: «Abbastanza. In passato erano sceneggiature. Chissà, forse adesso non pensano più a me come ad un regista, ma come un benefattore». Eppure Francis Ford Coppola è il cinema. Su questo non c’è discussione, anche se duante l’intervista pronuncerà più volte la parola “dilettante” riferito a se stesso a significare uno che ormai fa film solo per diletto, appunto, non per lavoro. Prodotto dalla casa di famiglia, la Zoetrope, e presentato allo scorso Festival di Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, Segreti di famiglia viene dopo il disastro di Un’altra giovinezza, film di scarso successo e di ancor più difficile comprensione che aveva fatto temere il peggio. Segreti di famiglia dimostra invece che Coppola è ancora in grado di fare ciò che è richiesto a un grande regista: scegliere perfettamente il cast (strepitoso l’esordiente Alden Ehrenreich), dirigere gli attori e farli recitare al loro meglio (ottimo Vincent Gallo), usare una sofisticata e bellissima fotografia in bianco e nero. Girato in Argentina, il film racconta la storia di due fratelli che si ritrovano a vivere nella stessa casa dopo anni di lontananza: il maggiore, Tetro, è uno scrittore geniale ma abbandonato a se stesso, forse depresso. Il più piccolo, Bennie, è alla ricerca della storia di famiglia e del padre, un direttore d’orchestra di origini italiane. Nel mezzo, molti elementi del cinema di Coppola, dai drammi familiari alla rivalità tra consanguinei, passando per l’opera lirica e le origine italiane dei protagonisti.
Drammi familiari, rivalità tra fratelli, l’opera lirica, le origine italiane dei pritagonisti. Si può dire che in “Segreti di famiglia”  ci siano gli elementi tipici del suo cinema, quelli che la interessano di più?
«Dopo Un’altra giovinezza ero un po’ abbattuto: era un progetto a cui tenevo e non mi aspettavo un insuccesso. Mi sono reso conto che il pubblico non ha voglia di affrontare tematiche filosofiche, ma vuole qualcosa di più personale ed emotivo, qualcosa che lo emozioni. Così mi sono chiesto che cosa emoziona me e la risposta è stata: la famiglia».
 Anche nella sua famiglia c’erano rivalità e drammi?
«Non a questo livelli, però sì, ho assistito di persona a rivalità tra alcuni  miei zii, ad esempio. E comunque la rivalità è insita nel concetto stesso di famiglia. È nella Bibbia e in tutte le relazioni basate sul potere e sull’autorità».
I suoi figli fanno entrambi i registi. Che cosa hanno imparato da lei?
«Sia Roman che Sofia fanno film molto intimisti. Credo abbiano imparato da me che la cosa principale è fare film per un motivo che sia personale e unico, non per i soldi o il successo. La cosa di cui sono più orgoglioso è che sia i miei film che quelli dei miei figli sono facilmente riconoscibili: sono film di un Coppola e di nessun altro».
E con le sue nipoti, che tipo di nonno è?
«Normale, credo. La figlia di Sofia ha due anni e mezzo, gli occhi blu, è bellissima e parla francese. L’altra ha 22 anni ed è una ragazza molto intelligente. La prossima settimana si laurea e io sarò presente alla cerimonia».
Tornado al film: la sceneggiatura è molto intricata. È stato faticoso scriverla? Quanto ci ha messo?
«Mentre stavo facendo l‘editing di Un’altra giovinezza ho ritrovato un diario di molti anni fa: dentro c’era l’abbozzo di una storia e un nome, Tetro. Sono andato una settimana a Postano in un hotel sulla spiaggia e ho iniziato a scrivere lì. Ho scritto 6 pagine. La settimana dopo sono andato in Grecia e ne ho scritte altre sei, la settimana dopo sono volato in un altro posto e ho continuato per altre dieci e così via finché la sceneggiatura non si è praticamente scritta da sola. Mi piace scrivere, soprattutto in posti belli. Poi, avendo l’aereo privato posso spostarmi come e quando voglio... ».
Scrive con il computer o con la macchina da scrivere?
«Con il computer, ma il nome non mi piace: per me  rimane una “ macchina da scrivere”».
L’industria del cinema è molto cambiata dall’epoca in cui lei girò il Padrino. Come si trova in questa nuova Hollywood?
«Ma io non faccio parte dell’industria industria del cinema. Io sono un imprenditore: posseggo alberghi, produco vino. Questo è il mio lavoro. I film li faccio per divertimento, sono un dilettante».
Vuol dire che con il film ormai non guadagna più?
«Esatto. I soldi li faccio con il vino e con gli alberghi e con questi finanzio i film. È  così che voglio lavorare adesso, non voglio fare film con budget stratosfericifati apposta per raggungere un pubblico smisurato. So cosa vuole il grande pubbblico: intrattenimento, grandi produzioni, grandi drammi, azione. Fondamentalmente vogliono vedere storie che già conoscono, sempre le stesse. Io voglio fare film diversi, piccoli, ma che emozionino. E magari riuscire a viaggiare grazie a loro. L’idea di girare Segreti di famiglia in Argentina mi è venuta perchè uno dei miei sogni è di imparare lo spagnolo... ».
Che cosa farà adesso? Sta già lavorando a qualcosa di nuovo? Si parla spesso di un suo progetto, un film sulla commedia italiana? È realtà o leggenda?
«Sto scrivendo, ho diverse idee e aspetto di vedere dove mi porteranno, quale funzionerà meglio una volta messa su pagina. La commedia italiana mi interessa, mi piace,  ma non è una cosa a cui sto lavorando al momento. Però in futuro chissà. Germi, Monicelli, Sordi, Gassman, De Sica: li ho amati tutti».
Li ha mai incontrati?
«Ho conosciuto Alberto Sordi. Venne a casa mia e gli  cucinai gli spaghetti. Ricordo che stava benissimo, ma poi due anni dopo morì. Ah e ho conosciuto Stefania Sandrelli: ho sempre avuto un debole per lei».
PS Finita l’intervista Coppola mi dice: «Aspetti, le faccio vedere le fotografie della mia nipotina, la figlia di Sofia. Ce l’ho qui sul cellulare». Peccato però che il telefono sia scarico e
non si accenda. «Ho due telefoni cellulari e mai che ne funzioni uno quando serve». Peccato.

giovedì 19 novembre 2009

martedì 17 novembre 2009

Segni della fine del mondo

A Kate Moss è venuta la pancia. 




You are spending like it's 2006* (titolo alternativo: notizie che lo erano. sì, ma tre anni fa).

In questo momento su corriere.it e su lastampa.it c'è la notizia di Courtney Love nuda sulla copertina della rivista Pop. Peccato che sia notizia che copertina (questa sotto) siano del 2006.




* battuta origliata l'anno scorso a New York e diventata ormai mio personale motto

martedì 10 novembre 2009

Quella volta in cui Michael Moore mi disse che il dovere principale di un regista è fare buoni film e che la politica viene dopo



Quando nel 1989 realizzò Roger & Me, agli occhi di tutti Michael Moore era uno di quei nerd che si vedono nei film sulle università americane: sfigato, grasso e sempre con quel cappellino da baseball sugli occhi. Venti anni dopo, il cappellino in testa c’è sempre. Anche la stazza è sempre quella. In aggiunta Moore ha: un Oscar vinto nel 2002 con Bowling for Columbine, una Palma D’Oro vinta a Cannes due anni dopo con Fahrenheit 9/11 e un culto per la sua persona che sfiora quello di solito destinato ai santi o alle rockstar. Lo si capisce - oltre che dal successo dei suoi film - anche e soprattutto dal rispetto misto a venerazione con cui i giornalisti aspettano di venire introdotti in sua presenza secondo una trafila fatta di anticamera, presentazione con stretta di mano della sua publicist seguita da breve spiegazione su dove Mr. Moore prenderà posto, attesa, entrata in scena della star. Abbastanza per infastidire chi vede in Moore un furbone sensibile ai problemi sociali ma anche al proprio portafoglio e che, trovata una formula vincente, la ripete all’infinito con mutazioni minime. Capitalismo: una storia d’amore è infatti l’ennesima variazione sul tema del documentario serio che diventa materiale da intrattenimento grazie all’ingombrante e buffa presenza del regista, al montaggio, al ritmo, al tentativo di mettere in imbarazzo l’interlocutore. Sprofondato su una sedia, con una felpa blu addosso e sul tavolo pezzi di cioccolato amaro, Moore risponde alle domande come farebbe un oracolo: ascolta in silenzio, fa lunghe pause, ogni tanto chiude gli occhi. Poi inizia a raccontare di quando viveva a Filt in Michigan, guadagnava 90 dollari a settimana, non sapeva niente di cinematografia e passava le serate al cinema East Village divorando i film di Fellini, Fassbinder, Bergman, «l’unica scuola che abbia mai avuto», dice.
Essere diventato l’icona di un certo tipo di cinema comporta delle pressioni ulteriori oltre a quelle che un normale regista ha tutte le volte che esce un suo film?
«No. Ha presente la prima scena, quella della famiglia che viene sfrattata da casa? Non l’ho girata io. Ho trovato il video nella posta. Ne ricevo a centinaia di video come quello, di lettere, di richieste. È una sofferenza di cui sono quotidianamente testimone. Ecco, se c’è una responsabilità che sento è questa: raccontare le storie di persone che da me vogliono aiuto trasformandole in qualcosa di interessante anche per gli altri, e cercando di mantenere sempre il mio senso dell’umorismo».
Quanto è importante l’umorismo nei suoi film?
«Fondamentale. La mia famiglia ha origini irlandesi, un popolo che è abituato ad avere una visione del mondo buia e pessimista. Lo humor è il modo che usiamo per alleviare un po’ il pessimismo. Oltre all’alcol, ovviamente».
Lei però usa l’umorismo come una vera e propria arma.
«Perché lo è. L’ironia può essere davvero un’arma politica devastante e sono stupito che i politici di sinistra non lo usino più spesso».
Nella vita di tutti i giorni lei è coerente con le battaglie sociali e politiche di cui si fa promotore? Se gira un film sulla responsabilità delle multinazionali, poi è attento a non comprarne i prodotti?
«È un problema che non mi pongo perché non credo che l’azione individuale possa ottenere qualche risultato. L’unica maniera per cambiare davvero le cose è attraverso l’azione collettiva».
Come ha investito i soldi che ha guadagnato in questi anni?
«Non ho mai investito in borsa né mai lo farò. Non mi piace l’idea di supportare quel sistema. E poi io vengo dalla classe operaia: non ho la minima idea di come funzioni la borsa, mi sembra un casinò e non ho voglia di rischiare i miei soldi. I guadagni li tengo su un normalissimo conto bancario. Al massimo ho comprato dei titoli statali e poi ho seguito il consiglio che tutti i genitori danno ai figli: compra casa, investi nel mattone perché è l’unica cosa sicura».
Si considera un uomo ricco?
«Sicuramente più ricco di quando guadagnavo 90 dollari a settimana e più della media di molti americani. Vede, la cosa strana del mio paese è che quelli che rientrano nella mia categoria di reddito pagano pochissime tasse e basterebbe cambiare questo, basterebbe far pagare un po’ di più a quelli che guadagnano più di cento mila dollari all’anno per raddrizzare tutto il sistema».
Esiste una forma di capitalismo buono secondo lei?
«È come chiedere se esiste una forma di schiavitù positiva o un bel modo di discriminare le donne. Ovvio che non esiste».
Speravo in una visione leggermente più positiva…
«Ci crediamo liberi perché alla fine del mese abbiamo la busta paga, ma in realtà siamo anche noi schiavi ed è così che guarderanno a noi le generazioni future».
Cosa ne pensa della situazione politica generale? Mi riferisco al fatto che in quasi tutta Europa a prevalere siano i partiti di destra.
«Storicamente è dimostrato che i politici di destra hanno la vita più facile nel convincere gli elettori. Evidentemente c’è qualcosa nel modo di operare e pensare della destra che soddisfa il nostro bisogno di avere un leader forte che ci guidi, che si occuperà di noi, che ci dica che non è colpa nostra ma di qualcun altro».
Lei pensa che film come i suoi possano davvero cambiare il modo in cui la gente vota? Non c’è il rischio di parlare sempre e solo a quelli che già la pensano come lei?>
«Questo è un ottimo punto. Come si convincono quelli che la pensano in modo diverso? Be’ io non mi posso lamentare, so che i miei film raggiungono un pubblico molto vasto che va ben oltre l’elettorato di sinistra».
Appunto: come ci è riuscito?
«Non perdendo mai di vista l’obiettivo principale: fare bei film, che siano piacevoli per chi li guarda. Il problema dei giovani registi di documentari è che si fissano troppo sull’aspetto politico trascurando del tutto l’intrattenimento».
Se lei dovesse dare un consiglio a uno di questi giovani registi, che cosa gli direbbe?
«Che se la sua preoccupazione maggiore non è far divertire gli spettatori, allora è meglio che cambi lavoro. Potrà sempre buttarsi in politica».

sabato 7 novembre 2009

... per tutto il resto ci sono gli amici froci/3

AF: "Quindi, ci sei uscita?"
IO: "No. Te l'ho detto: non ce la faccio"
AF: "Sei pazza. Ingrata. Non te lo meriti."
IO: "Non esageriamo. Lo sapevamo dall'inizio che non era.. ehm.. il mio tipo, dai"
AF: "Ingrata. Ma lo sai che si dice di lui?"
IO: "Se anche non lo sapessi ci sei tu a ricordarmelo ogni mezz'ora circa."
AF:"Dicono che ce l'abbia persino più grosso di (omissis)"
IO: "Ecco, appunto".
AF: "Qualcuno dovrà pure farti ragionare"
IO: "E questo sarebbe il tuo ruolo nella mia vita? Andiamo bene"
AF: "Ingrata. E pensare che te l'ho presentato io."
IO: "Ma infatti di questo ti ringrazio: è molto simpatico"
AF: "Giusto un eterosessuale potrebbe uscirci per la simpatia"
IO: "Se non fosse simpatico non avrei risposto neanche al primo sms"
AF: "Escici e fatti raccontare delle barzellette."
IO: "Ah ah per quelle ci sei già tu."
AF: "Perdere un uomo così è un delitto. Non si può, non si deve"
IO: "In effetti simpatico è simpatico. E poi è attento, premuroso, complessivamente carino, insomma..."
AF: "E allora escici, poi vediamo come gestirlo"
IO: "Vediamo? Cos'è questo uso del plurale?
AF: "Mi rendevo utile. Proponevo una soluzione."
IO: "La comproprietà?"
AF: "Perché no? La proprietà privata è così anni 80"
IO: "E come ci dobbiamo organizzare? Io i giorni dispari e tu quelli pari?"
AF: "Veramente pensavo a una soluzione diversa"
IO: "Cioè?"
AF: "Tu ci vai a cena. Io me lo trombo".

Arialzati che sta ripassando la canzone popolare.

Ma io ve l'ho raccontata quella battuta che origliai ormai quasi un anno fa mentre ero in un bar di Manhattan e c'erano due parlavano di soldi e a un certo punto uno dice all'altro: "You're spending like it's 2006"?. Ecco, mi è tornata in mente oggi, leggendo questa notizia. In alternativa, la trama di Memento. O quella di Ricomincio da capo.

mercoledì 4 novembre 2009

Si può anche decidere di rinunciare a tutti i role model, tutti tranne uno: Bree Van De Kamp.

"When I agreed to be your lover I felt quite sure that my disdain for your vulgarity and astounding lack of scruples would preclude any chance of developing feelings for you but against all reasons it's happening. I don't want to fall in love for a man I'm not even sure I like"
(inizio dell'episodio 6, stagione 6: una delle cose migliori mai viste)