Aspetto Francis Ford Coppola seduta al tavolino di un bar. Quando arriva, non fa in tempo a sedersi che un ragazzo biondo, sbucato da non si sa dove, gli porge un dvd. «Mi dispiace, non posso prenderlo». Il ragazzo fa per insistere, ma lui è categorico: «No». Quando si allontana Coppola fa quasi per giustificarsi: «È una regola che mi sono dato e che non voglio trasgredire». Gli chiedo se scene così succedono spesso. Mi dice: «Abbastanza. In passato erano sceneggiature. Chissà, forse adesso non pensano più a me come ad un regista, ma come un benefattore». Eppure Francis Ford Coppola è il cinema. Su questo non c’è discussione, anche se duante l’intervista pronuncerà più volte la parola “dilettante” riferito a se stesso a significare uno che ormai fa film solo per diletto, appunto, non per lavoro. Prodotto dalla casa di famiglia, la Zoetrope, e presentato allo scorso Festival di Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, Segreti di famiglia viene dopo il disastro di Un’altra giovinezza, film di scarso successo e di ancor più difficile comprensione che aveva fatto temere il peggio. Segreti di famiglia dimostra invece che Coppola è ancora in grado di fare ciò che è richiesto a un grande regista: scegliere perfettamente il cast (strepitoso l’esordiente Alden Ehrenreich), dirigere gli attori e farli recitare al loro meglio (ottimo Vincent Gallo), usare una sofisticata e bellissima fotografia in bianco e nero. Girato in Argentina, il film racconta la storia di due fratelli che si ritrovano a vivere nella stessa casa dopo anni di lontananza: il maggiore, Tetro, è uno scrittore geniale ma abbandonato a se stesso, forse depresso. Il più piccolo, Bennie, è alla ricerca della storia di famiglia e del padre, un direttore d’orchestra di origini italiane. Nel mezzo, molti elementi del cinema di Coppola, dai drammi familiari alla rivalità tra consanguinei, passando per l’opera lirica e le origine italiane dei protagonisti.
Drammi familiari, rivalità tra fratelli, l’opera lirica, le origine italiane dei pritagonisti. Si può dire che in “Segreti di famiglia” ci siano gli elementi tipici del suo cinema, quelli che la interessano di più?
«Dopo Un’altra giovinezza ero un po’ abbattuto: era un progetto a cui tenevo e non mi aspettavo un insuccesso. Mi sono reso conto che il pubblico non ha voglia di affrontare tematiche filosofiche, ma vuole qualcosa di più personale ed emotivo, qualcosa che lo emozioni. Così mi sono chiesto che cosa emoziona me e la risposta è stata: la famiglia».
Anche nella sua famiglia c’erano rivalità e drammi?
«Non a questo livelli, però sì, ho assistito di persona a rivalità tra alcuni miei zii, ad esempio. E comunque la rivalità è insita nel concetto stesso di famiglia. È nella Bibbia e in tutte le relazioni basate sul potere e sull’autorità».
I suoi figli fanno entrambi i registi. Che cosa hanno imparato da lei?
«Sia Roman che Sofia fanno film molto intimisti. Credo abbiano imparato da me che la cosa principale è fare film per un motivo che sia personale e unico, non per i soldi o il successo. La cosa di cui sono più orgoglioso è che sia i miei film che quelli dei miei figli sono facilmente riconoscibili: sono film di un Coppola e di nessun altro».
E con le sue nipoti, che tipo di nonno è?
«Normale, credo. La figlia di Sofia ha due anni e mezzo, gli occhi blu, è bellissima e parla francese. L’altra ha 22 anni ed è una ragazza molto intelligente. La prossima settimana si laurea e io sarò presente alla cerimonia».
Tornado al film: la sceneggiatura è molto intricata. È stato faticoso scriverla? Quanto ci ha messo?
«Mentre stavo facendo l‘editing di Un’altra giovinezza ho ritrovato un diario di molti anni fa: dentro c’era l’abbozzo di una storia e un nome, Tetro. Sono andato una settimana a Postano in un hotel sulla spiaggia e ho iniziato a scrivere lì. Ho scritto 6 pagine. La settimana dopo sono andato in Grecia e ne ho scritte altre sei, la settimana dopo sono volato in un altro posto e ho continuato per altre dieci e così via finché la sceneggiatura non si è praticamente scritta da sola. Mi piace scrivere, soprattutto in posti belli. Poi, avendo l’aereo privato posso spostarmi come e quando voglio... ».
Scrive con il computer o con la macchina da scrivere?
«Con il computer, ma il nome non mi piace: per me rimane una “ macchina da scrivere”».
L’industria del cinema è molto cambiata dall’epoca in cui lei girò il Padrino. Come si trova in questa nuova Hollywood?
«Ma io non faccio parte dell’industria industria del cinema. Io sono un imprenditore: posseggo alberghi, produco vino. Questo è il mio lavoro. I film li faccio per divertimento, sono un dilettante».
Vuol dire che con il film ormai non guadagna più?
«Esatto. I soldi li faccio con il vino e con gli alberghi e con questi finanzio i film. È così che voglio lavorare adesso, non voglio fare film con budget stratosfericifati apposta per raggungere un pubblico smisurato. So cosa vuole il grande pubbblico: intrattenimento, grandi produzioni, grandi drammi, azione. Fondamentalmente vogliono vedere storie che già conoscono, sempre le stesse. Io voglio fare film diversi, piccoli, ma che emozionino. E magari riuscire a viaggiare grazie a loro. L’idea di girare Segreti di famiglia in Argentina mi è venuta perchè uno dei miei sogni è di imparare lo spagnolo... ».
Che cosa farà adesso? Sta già lavorando a qualcosa di nuovo? Si parla spesso di un suo progetto, un film sulla commedia italiana? È realtà o leggenda?
«Sto scrivendo, ho diverse idee e aspetto di vedere dove mi porteranno, quale funzionerà meglio una volta messa su pagina. La commedia italiana mi interessa, mi piace, ma non è una cosa a cui sto lavorando al momento. Però in futuro chissà. Germi, Monicelli, Sordi, Gassman, De Sica: li ho amati tutti».
Li ha mai incontrati?
«Ho conosciuto Alberto Sordi. Venne a casa mia e gli cucinai gli spaghetti. Ricordo che stava benissimo, ma poi due anni dopo morì. Ah e ho conosciuto Stefania Sandrelli: ho sempre avuto un debole per lei».
PS Finita l’intervista Coppola mi dice: «Aspetti, le faccio vedere le fotografie della mia nipotina, la figlia di Sofia. Ce l’ho qui sul cellulare». Peccato però che il telefono sia scarico e
non si accenda. «Ho due telefoni cellulari e mai che ne funzioni uno quando serve». Peccato.
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Bella intervista! Mi piace sempre leggerti!
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