martedì 29 settembre 2009

... per tutto il resto ci sono gli amici froci/2

Io: «Quindi, cosa mi metto per la festa di stasera?»
AF: «Se non mi dici le alternative»
Io: «Alternativa uno: vestito rosa e nero senza spalline e gonna larga sotto il ginocchio. Un po' Anni 80».
AF: «Rosa e nero? Anni 80? Per favore».
Io: «Vabbè, ma mi sta bene»
AF: «Questo lo dici tu. Mandami la foto via skype»
IO: «Mandata. Quindi?»
AF: «Ti fa una meringa. Poi cosa abbiamo?»
Io: «Alternativa due: vestito nero dritto e molto corto. Un po' charleston. Ti sta arrivando la foto»
AF: «Oh madonna. Ti fa un tronco»
Io: «Sei di aiuto, sai?»
AF: «L'alternativa è tra uscire conciata come Stephanie di Monaco nei suoi giorni peggiori e uscire lasciando a casa il punto vita. Vedi po' tu»

lunedì 28 settembre 2009

Club Tropicana




No, non sforzatevi perché riconoscerlo è impossibile. Ve lo dico io. È Andrew Ridgeley.  Da quando gli Wham! si sono sciolti, più di 20 anni fa, si è ritirato a vita privata. Abita in Cornovaglia, gioca a golf e fa surf. Ora, prendete una foto recente di George Michael e poi ditemi come si possa ancora a sostenere che la droga e la vita dissoluta facciano male.

Altrimenti ci arrabbiamo

Il di solito mite e ultra comprensivo direttore di Vanity Fair all'ennesimo vip che ci ripensa e ritratta il contenuto dell'intervista al grido di "i soliti giornalisti che esagerano" perde un po' la pazienza e si incazza. Il vip in questione, tra l'altro, è Morgan.

domenica 27 settembre 2009

... per tutto il resto ci sono gli amici froci/1

A.F.: «Sì, però tu la devi smettere»
Io: «Di fare cosa, di grazia?»
A.F.: «È la terza volta da quando ti conosco»
Io: «Hai intenzione di dirmi di cosa stiamo parlando o vuoi proseguire col tuo monologo?»
A.F.: «La devi smettere di farti incantare dalla stessa categoria d'uomo»
Io: «Categoria d'uomo. Cos'è, una nuova disciplina olimpica?»
A.F.: «Se vai avanti così lo diventa»
Io: «Molto spiritoso. Ma dici sciocchezze. Prendi gli ultimi uomini che mi sono piaciuti. Come puoi anche solo immaginare di farli rientrare nella stessa categoria, diversi come sono?»
A.F.: «Ah no? E che ne dici della categoria "quelli che non ti cagano"?»

venerdì 25 settembre 2009

Il segretario di partito che vorrei (per tralasciare del conduttore e del giornalista)

Ve la faccio breve: ieri sera ad Annozero Maurizio Belpietro ha dato della pompinara a Concita De Gregorio. Ok, non gliel'ha detto proprio così, ma siamo tutti d'accordo che di fronte all'obiezione di De Gregorio che il problema non è quante e quali zoccole si faccia Berlusconi, ma il fatto che poi questa zoccole le candidi, proprio come ha fatto con la D'Addario, ecco, di fronte a questa osservazione siamo tutti d'accordo che pronunciare la frase: "Si vede che la D'Addario era più brava di te, Concita" equivale a darle della zoccola? Peggio. Equivale a dire: "Non sei neanche brava a fare pompini. Lo fossi non saresti qui a fare il direttore di giornale ma avresti almeno un posto al parlamento europeo". Bene. La cosa che personalmente mi infastidisce maggiormente, al netto del fatto che De Gregorio non poteva nè alzarsi e andarsene (ah donnetta incapace) nè gridare in faccia a Belpietro tutto lo schifo (ah donnetta isterica), ecco al netto di questo la cosa che più mi dà fastidio è che di fronte all'insulto più greve e scorretto che sia mai stato pronunciato durante diretta televisiva, nessuno dei gentiluomini presenti - ovvero Franceschini, Mentana, Santoro stesso - si è sentito in dovere di dire alcunché. Tutti zitti. Muti. Silenzio. Ecco, non so, ma in mondo migliore questo non sarebbe successo. (Sì, lo so, in un mondo migliore neanche Belpietro esisterebbe o sarebbe invitato continuamente in televisone, ma hey, ho detto mondo, non ho detto in una galassia lontana anni e anni luce dalla nostra).

mercoledì 23 settembre 2009

Matt Damon dice che è bellissimo. Avesse ragione?



qui il secondo

Quella volta in cui Matt Damon mi chiese se avevo già visto "Up in the air" e mi disse che George Clooney in quel film è fantastico

Il sottotitolo italiano di The informant! recita la seguente frase: “basato su un vero pettegolezzo”. Ed è forse per onorare l’argomento del film che il giorno dopo averlo incontrato a Venezia - dove The informant! è stato presentato fuori concorso - in rete circola la notizia, poi subito smentita, della morte di Matt Damon. Cioè, Matt Damon. Uno che altro che gossip. Pensi a lui e pensi piuttosto a impegno, solidità, costanza, serietà. L’identikit del bravo ragazzo, insomma, che si presenta alle interviste puntuale, è garbato, ti stringe la mano, risponde con la ricchezza di aneddoti di chi sa fare bene il proprio mestiere, sia quello di dare a te giornalista sufficiente materiale e mandarti a casa contento, sia quello di ingrassare più di dieci chili per interpretare Mark Whitacre, manager di una multinazionale dell'industria agroalimentare, che dopo aver  scoperto l'esistenza di un accordo sul controllo dei prezzi progettato dalla dirigenza per cui lavora decide di diventare collaboratore dell’FBI fino a quando viene travolto dal castello di menzogne messo in piede nel tentativo di truffare sia la sua azienda che l’FBI stessa.  Un ruolo che, al di là del succeso del film, in verità un po’ troppo macchinoso e impegnativo da seguire, regala a  Damon l’occasione per un’altra grande interpretazione da bugiardo e  truffatore, così come era successo ne Il talento di Mr. Ripley «il ruolo che più ho amato in assoluto», dice lui, serissimo.
L’8 ottobre compie 39 anni. Come si sente a questo punto della sua vita e della sua carriera?
«A parte constatare che a 39 anni mettere su 15 chili in poco tempo è molto facile sto benissimo. Fantasticamente. Negli ultimi 12 anni ininterrotti di lavoro mi sono molto divertito, mi è piaciuto, non ho rimpianti per nessuno dei film che ho girato e per nessuna delle scelte che ho fatto».
A guardarla dà l’idea di un uomo risolto. È così?
«Ho una moglie fantastica, dei figli meravigliosi. Non potrei essere più felice di come sono. E lo dico toccando ferro».
Invecchiare la spaventa?
«No, soprattutto se qualcuno domani scoprisse il modo per rallentare l’invecchiamento: le confesso che non mi dispiacerebbe fermarmi a questa età ancora per un po’. A parte gli scherzi no, non mi fa paura. Mi rendo conto che è una grave ingiustizia, perché per le attrici intorno ai 40 i ruoli buoni cominciano a scarseggiare, ma per un uomo è esattamente il contrario: tra i 40 e i 50 i ruoli che ti offrono sono in assoluto i più interessanti e complessi della tua carriera. È un’ingiustizia, lo so, ma purtroppo Hollywood funziona così: per un attore della mia età questi sono i migliori anni della sua vita. Io poi ho l’enorme fortuna di poter lavorare con registi che ormai sono miei amici: Steven Soderbergh con il quale ho già girato cinque film e con cui girerò il sesto la prossima estate e Clint Eastwood con il quale ho finito di girare Invictus e con il quale girerò un altro film il prossimo autunno. Mi piace poter lavorare sempre con le stesse persone, spero di poterlo fare anche in futuro».
Quindi è stato Steven Soderbergh a scegliere lei come protagonista di “The Informant!”? Oppure  è il contrario?
«Erano sette anni che cercavamo di fare questo film e finalmente ci siamo riusciti. La prima volta che Steven mi ha parlato del progetto era il 2001. La mia carriera non stava andando benissimo, stavo girando il primo episodio di Bourne ma nessuno sapeva se avrebbe avuto succeso, mentre Steven era al top perché aveva appena ricevuto l’Oscar per Traffic. Insomma, una sera sono a Parigi e lui mi chiama super eccitato dicendo di aver trovato una sceneggiatura fenomenale, che vuole assolutamente che io la legga e che quindi mi sta faxando le prime 80 pagine. Io non capivo. “Ma  che cosa vuoi che faccia? Che lo produca, che lo riscriva?” gli ho chiesto. E lui: “No, lo dirigo io e voglio che sia tu a fare il protagonista!”».
E lei dopo aver letto le prime 80 pagine cosa ha pensato?
«Che quello di Mark Whitacre fosse uno di quei ruoli interessanti e complicati che ti capitano una volta ogni sette, otto anni se sei fortunato».
L’amicizia che lega lei, George Clooney, Steven Soderbergh, Brad Pitt è nota. Mi faccia capire: vi telefonate tra di voi offrendovi le parti nei rispettivi film o comunque, siccome si tratta di lavoro, dovete fare riferimento ai vostri agenti? 
«No, nessun agente, ci chiamiamo direttamente tra di noi. Le faccio un esempio: quando Steven stava girando Che in Spagna mi ha chiamato per chiedermi di fare un piccolo ruolo, un cameo. Purtroppo però il budget di quel film era piuttosto limitato e non c’erano  i soldi per farmi arrivare lì dagli Usa. Così abbiamo avuto un’idea: abbiamo aspettato che io andassi in Spagna a fare promozione per l’ultimo dei Bourne (Bourne Ultimatum, ndr) e abbiamo sfruttato l’aereo che la produzione di Bourne mi aveva messo a disposizione».
Per il ruolo di Mark Whitacre ha detto prima di essere ingrassato di 15 chili. Le è pesato sottopori a una tale trasformazione fisica?
«Tutte le volte che mi danno una parte la mia reazione è: “Ecco, adesso mi tocca andare in palestra”. Lavorare a questo film è stata una pacchia da questo punto di vista. E il ruolo è così bello che avrei fatto qualunque cosa pur di averlo».
Che cosa ha mangiato per ingrasare?
«Pizza, birra, hamburger. Di tutto, insomma».
Non ha pensato di usare delle protesi invece di dover mettere su dei chili veri?

«No, perché quando ingrassi ingrassi dappertutto, non solo sulla pancia o sul sedere. Anche le dita ingrassano. E poi i grassi hanno un modo diverso di camminare, di muoversi nel mondo, i portare i vestiti... ».
Perché era importante che il personaggio fosse grasso? È stata una scelta di Soderbergh?
«Dopo aver letto la sceneggiatura gli scrissi una mail chiedendogli come volesse che fosse Mark Whitacre. La sua risposta è stata: “pingue”. Il suo aspetto fisico così rotondo e indefinito è una metafora del suo carattere:  non sai mai bene dove comincia e dove finisce. L’unica aggiunta posticcia l’abbiamo fatta al naso: volevamo che il viso fosse assolutamente privo di spigoli, di angoli, che fosse tutto rotondo».
Il suo ruolo è anche molto divertente. A quali attori brilanti si è ispirato per preparare la parte?
«La sceneggiatura era così ben scritta che l’ho creato partendo da zero. E poi mi sono ispirato a persone che frequento nella mia vita».
Si è ispirato anche a George Clooney?
«No, ma George è un grande attore ed è uno da cui è piacevole rubare segreti. Ha già visto il suo ultimo film Up in the air? No? Be’ è fantastico. Veramente fantastico».
Si è fatto un’idea del perché la gente mente? E sopratutto qual è la ricetta per la bugia perfetta?
«Credo che i bravi bugiardi siano quelli che credono davvero in quello che dicono. In fondo è un po’ come per gli attori: se credi in quello che stai recitando sei credibile, altrimenti no».
Lei che bugiardo è?
«Pessimo. Divento tutto rosso. E poi mentire è troppo faticoso, non fa per me».
(Grazia, 28/09/2009)

lunedì 21 settembre 2009

The way they were



Si festeggiano i 25 anni della London Fashion Week e il Guardian li celebra con una galleria fotografica in cui spiccano una Anna Wintour del 1986 somigliante alla sorella brutta di Veronica Pivetti e una Kate Moss del 1995 figa come solo lei può essere (C'è anche una Sophie Dahl del 1997 ciccionissima. Dopo si è messa dieta. Strano eh?).

giovedì 17 settembre 2009

Del perché è infrequentabile un uomo che non abbia mai visto Almost Famous

Un uomo al quale tu mandi un sms di questo tipo: "vado al mare. wanna come? ask me again. wanna come?" e ci aggiungi pure che è la citazione di un film e che lui indovinasse quale, ma lui niente, zero, non ne sa un cazzo e ha pure l'aggravante di fare l'attore, porca miseria, che è come dire che uno gioca a pallavolo e non sa fare la battuta e il bagher e secondo me quando va in vacanza si porta pure le ciabatte in valigia e magari è pure astemio, sì, sì, deve essere anche astemio, ecco, un uomo così non si può proprio frequentare.

Quella volta in cui Riccardo Scamarcio mi disse che lui e Stefano Bonaga parlano di filosofia fino alle 4 del mattino.

La frase che non ti aspetti arriva all’inizio dell’intervista: «Ieri sera sono stato fino alle 4 del mattino con Stefano Bonaga a parlare di filosofia». Siccome subito dopo ci aggiunge una battuta («lui ha “asciugato” me per ore, adesso io “asciugo” te») l'atroce sospetto che sia stata detta con snobistico compiacimento o, peggio, per un recesso di velinismo del tipo voglio essere apprezzato per la mia intelligenza e non per i miei occhioni verdi, viene attenuato da una risata. In fondo non c’è bisogno di discutere di Nietzsche per prendere sul serio Riccardo Scamarcio. Basta far parlare la sua carriera, cosa serissima sia per la quantità e la qualità dei film girati. Solo quest’anno Scamarcio è protagonista di tre dei titoli più attesi: La prima linea di Renato De Maria sulla storia di Sergio Segio, L’uomo nero di Sergio Rubini in cui interpreta il fratello della sua compagna Valeria Golino e Mine vaganti, il nuovo film di Ferzan Ozpetek le cui riprese sono cominciate da due settimane e sul quale Scamarcio ha la bocca cucitissima tanto da non voler rivelare nulla sul suo personaggio (a domanda diretta: reciti la parte di un etero o di un gay?, sostiene di non saperlo ancora, ma se le voci che circolano sono vere la risposta giusta è la seconda). E poi c’è ovviamente Il grande sogno diretto da Michele Placido appena presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Ambientato nel 1968, il film racconta la storia del movimento studentesco dell’epoca attraverso le vite di tre personaggi: Laura (Jasmine Trinca), Libero (Luca Argentero) e Nicola, quello interpretato da Scamarcio, che ricalca la storia autobiografica di Michele Placido: un poliziotto originario del sud che dopo essere stato coinvolto negli scontri con i manifestanti decide di lasciare la polizia per seguire il sogno di diventare attore.
Con tutti i film che ha girato sull’argomento ormai è un esperto del ‘68. Potrebbe tenere corsi all’Università. Se dovesse farlo cosa direbbe?
«Che è stato il nostro periodo più bello. Circolava energia positiva data dal fatto che si era stati peggio ma con la consapevolezza che da lì in avanti si sarebbe stati meglio. Che è poi il contrario di quello che succede oggi. In quegli anni le persone erano più candide, meno maliziose, più innocenti».
Il personaggio di Nicola è fatto apposta perché il pubblico gli voglia bene: dopo dieci minuti ti sei già affezionato.
«Nicola è il simbolo della semplicità: vuole partecipare anche lui a questa cosa del ‘68 ma non sa bene cos’è. Ha una umile e dignitosa posizione da spettatore rispetto al movimento. In fondo rispecchia la storia: lui viene dalla provincia e il ‘68 l’hanno vissuto davvero solo a Roma e Milano, la provincia è rimasta un po’ a guardare. In Nicola c’è molta inadeguatezza, il non sentirsi all’altezza, ma allo stesso tempo la volontà di prendersi delle responsabilità civili e sociali».
Nicola sogna di diventare attore: oltre che l’autobiografia di Michele Placido è anche la sua.
«Be’ la dinamica in effetti è simile. Anche io vengo dal sud, dalla Puglia, ma ho avuto la fortuna di iniziare a fare teatro già lì».
Come mai ha iniziato con il teatro?
«Quando ho deciso di fare l’attore ho pensato che il teatro fosse il posto giusto per capire davvero cosa vuol dire fare questo mestiere, e anche quanto è pericoloso. Non mi sono sbagliato».
In che senso pericoloso?
«La paura e l’ansia che provi prima di andare in scena è una cosa che non provi più, ma è quella per cui continui a recitare. È adrenalina. La sfida, mettersi alla prova: il mestiere dell’attore è un po’ questo. Io sono sempre stato spericolato, già da bambino mi prendevo mille rischi, mi facevo male, combinavo pasticci».
Invece poi è arrivato il cinema. E la popolarità. L’aveva messa in conto oppure no?
«Chi decide di fare cinema per forza di cose ci pensa. Sia detto senza prendersi troppo sul serio, ma se uno fa il cinema ne conosce anche i meccanismi, le dinamiche. Il cinema funziona anche per l’aspetto glamour, per la costruzione del sogno che regala».
Quindi non le da fastidio essere diventato per un certo tempo l’idolo di un cinema diciamo romantico e giovanile.
«Diventare un prototipo di uomo o di donna è sempre riduttivo, però è semplice e funzionale per chi guarda: l’alone che c’è intorno a te è anche quello che spinge la gente a venire al cinema a vedere i tuoi film. Poi, certo, non è detto che quello che un attore rappresenta e quello che un attore è siano la stessa cosa, anzi. Tra l’idea che circola di me e come sono io veramente c’è una discrepanza totale».
E qual è l’idea che circola di lei, scusi?
«Qualcuno dice che sono antipatico, altri che sono addirittura uno stronzo. Invece se mi conosci capisci sono un amicone, uno che scherza sempre. Sono davvero così, non riesco a essere serio due minuti, abbatto subito le distanze formali. E uso l’autoironia, che è sempre fondamentale».
L’interesse della gente per la storia tra lei e Valeria le da fastidio?
«No. Siamo due persone conosciute, fa parte della vita che conduciamo».
Ma si è chiesto come mai c’è così tanta curiosità intorno a voi?
«Non me lo chiedo, non mi importa. Sono problemi di altri. Noi viviamo questa relazione in assoluta tranquillità come due persone che si amano. Comunque adesso va meglio: forse dopo quattro anni hanno capito che è una storia vera».
A questo punto dovrei chiederle se avete intenzione di sposarvi. Facciamo che la prendo larga: crede nel matrimonio?
«Assolutamente sì. Il matrimonio è una cosa seria, una promessa d’amore e fedeltà importante. I miei genitori sono sposati da 32 anni e sono ancora innamorati. Si sono sposati giovani, hanno avuto i figli subito e ancora oggi resistono. Ho molto rispetto per chi decide di sposarsi. Allo stesso modo rispetto chi ha deciso di non farlo: ci vuole coraggio anche a cercare se stessi da soli, in completa solitudine».
Lei invece è sempre stato in coppia…
«Sì, per me è fondamentale. Non sarei io senza una donna al mio fianco. Sarei perso. Sono un’animale sociale. Ho bisogno di condividere, se no per me non ha senso niente».
È una cosa che ha capito di recente?
«No, da ragazzino, avrò avuto 15 anni. Questa esigenza di stare in due l’ho sempre sentita e riconosciuta. Non ho mai avuto complessi, neanche quando i miei amici erano tutti single e facevano le tipiche serate tutti uomini. Pensavo: «contenti voi».
E le è andata sempre bene in amore?
«Direi di sì. Due amori veri in 30 anni non è poco. Sono stato fortunato, molto fortunato».
Tra poco la vedremo in un film con Valeria. Com’è stato trovarsi sul set tutte le mattine con la propria compagna?
«Molto divertente. La mia parte è quella di uno scapolone che non se ne vuole andare da casa per non lasciare l’appartamento alla sorella, Valeria appunto. Praticamente litighiamo tutto il tempo».
(Grazia, 17/09/2009)

venerdì 11 settembre 2009

Più attesa del Leone d'oro, più avvincente di un film italiano in concorso: la statistica

Numero di film visti: dodici
Numero di interviste fatte: dieci
Numero di feste a cui sono andata: otto
Numero di sbronze: una scarsa
Numero di ore dormite in media per notte: quattro
Numero di volte in cui un uomo mi ha chiesto "ma tu fai l'attrice?": quattro
Di cui alla domanda ha fatto seguito richiesta del numero di telefono: tre
Numero di uomini a cui ho effettivamente lasciato il mio numero di telefono tra quelli che me l'hanno chiesto: tre
Dai quali ho poi effettivamente ricevuto una telefonata: zero
Numero di outfit sfoggiati: sei
Numero di scarpe col tacco indossate: quattro
Di cui paia sandali di Yves Saint Laurent comprati appena prima di partire e che rischiano di diventare le mie scarpe preferite di sempre: uno
Numero di volte in cui un uomo avrebbe voluto fare cose con me ma io no: una
Numero di volte in cui io avrei voluto fare cose con un uomo ma lui ha preferito farle con una che non ero io: una
Numero di volte in cui io avrei voluto fare cose con un uomo e questo stesso uomo avrebbe voluto farle con me e quindi abbiamo fatto roba; una
Numero totale di uomini conosciuti: dodici
Di cui gay: cinque
Numero di feste alle quali ho incontrato Paris Hilton: due
Numero di feste alle quali ho incontrato Domenico Procacci: quattro
Di cui ho pensato: "però, Procacci con i capelli corti...": quattro
Numero di volte in cui ho incontrato Riccardo Scamarcio: tre
Di cui ho pensato: "ridatemi Procacci": tre
Numero di spritz bevuti: incalcolabile
Numero di volte in cui ho pianto: una
Di cui al cinema: nessuna
Numero di fotografie che mi sono state scattate da fotografi professionisti e in cui sono oggettivamente molto figa: due
Di cui sono state pubblicate: una
Numero di volte in cui ho mangiato carboidrati: troppe
Numero di sigarette fumate in media al giorno: undici
Numero di biciclette affittate: due
Di cui mi sono state rubate perché sono pirla e mi sono dimenticata di chiuderle con la catena: una
Numero di volte in cui mi è stata rivolta la frase: "ma tu eri in vacanza a Patmos?": due
Numero di persone che devo ringraziare per avermi aiutato, consigliato, imbucato alle feste: tre
Numero di volte in cui ho pensato "voglio tornare a segrate": zero

martedì 1 settembre 2009

Ogni scarrafone

La vicenda dello scioglimento degli Oasis si arricchisce di un nuovo, meraviglioso capitolo: l'intervista alla mamma di Noel e Liam, la signora Peggy Gallagher

Cat people (putting out fire)

Per evitare di fare come me che dopo aver visto il nuovo film di Tarantino e senza un computer sotto mano ho impiegato almeno dodici ore prima di recuperare il titolo, ecco la canzone che fa da colonna sonora alla scena più bella e tarantiniana di Inglourious Basterds.