giovedì 4 giugno 2009

Quella volta in cui Charlotte Gainsbourg mi disse: «Piangere sul set è stato bellissimo»


Dica la verità: come si è sentita la sera della prima?
«Indifesa. Sembrerà sciocco, ma è per questo che ho scelto un vestito così accollato sul davanti: volevo sentirmi protetta per affrontare tutta quella folla».

Charlotte Gainsbourg parla con un soffio di voce e dal modo in cui lo fa, dai sussurri con cui articola le risposte hai l’impressione che sia una donna geneticamente incapace di alzare i toni, figurarsi di arrabbiarsi. Siamo all’Hotel du Cap, in un capanno sulla scogliera con meravigliosa vista mare. È il giorno successivo alla premiere di Antichrist, il film di Lars von Trier che ha sconvolto Cannes e l’atmosfera è davvero un po’ quella da “day after” con Charlotte nei panni della sopravvissuta alla marea di critiche che sono piovute addosso al film del regista danese. Non che non fossero previste, dal momento che già al suo annuncio Antichrist conteneva tutti gli elementi necessari a far discutere, a partire da un regista famoso per i maltrattamenti che fa subire alle sue attrici, per arrivare a una trama semplice (moglie e marito si ritirano in campagna per superare la morte del loro unico figlio) che è solo un pretesto per la messa in scena delle più agghiaccianti e terrifiche allucinazioni riguardo a sesso, morte e dolore. Solo che un conto è essere preparati, un altro è vedere sullo schermo la Gainsbourg che si taglia con le forbici i genitali o che si masturba violentemente sotto un albero o che tortura il marito (interpretato da Willem Dafoe e con il quale le scene di sesso sono tutte violente e esagerate) fino quasi ad ammazzarlo.

Che impressione le ha fatto rivedersi sullo schermo in quelle scene così forti?
«Ieri sera è stato come vedere il film nella sua interezza per la prima volta. In precedenza avevo solo visto spezzoni che riguardavano le mie scene, ma ieri ho finalmente visto la visione del regista, la sua prospettiva, quello che voleva esprimere».
In generale le piace rivedersi sullo schermo?
«Dipende. Quando lo faccio cerco di essere il più oggettiva possibile, ma non mi riguardo mai per migliorare, come fanno altre attrici».
La domanda che molti si fanno è perché un’attrice accetti di girare un film del genere…
«Ovviamente posso rispondere solo per me e posso dire che tra me e Lars von Trier c’è stata da subito molta fiducia: sentivo che lui era con me al 100% e che non c’era brutalità nel modo in cui mi guardava. Questo mi ha permesso di eliminare le barriere, o almeno ci ho provato, così come ho provato a lasciarmi andare e a farmi portare ovunque lui volesse arrivare».
C’entra per caso anche la sua parte masochistica, ammesso che lei ne abbia una?
«Tutte le attrici ce l’hanno. In effetti sì, ho provato piacere a girare le scene di pianto e di disperazione, così come ho provato piacere nel dolore fisico. La scena dello strangolamento, ad esempio, è stata forse la più impegnativa di tutto il film: dolorosa, violenta, ma allo stesso tempo esaltante. È difficile da descrivere, ma sul set tutto era così esagerato che alla fine piacere e sofferenza erano indistinguibili».
Ci saranno però scene che le piacciono di più, di cui è più orgogliosa, e scene che le piacciono meno?
«Non mi piace il modo in cui svengo all’inizio: troppo prevedibile. Sono invece orgogliosa delle scene in cui piango e mi dispero: mi sembra che la sofferenza, lì, sia molto vera».
Prima di accettare la parte ne aveva parlato con qualcuno? C’è stato qualcuno tra i suoi amici o parenti che le ha consigliato di non fare questo film?
«No, hanno tutti capito che tanto l’avrei fatto comunque».
Ne ha parlato anche con sua madre?
«Oh sì, parecchio. Quando ero sul set ci sentivamo quasi tutti i giorni ed era divertente raccontarle e parlare come se niente fosse della mia tipica giornata di lavoro: un po’ di sangue, masturbazione, tanta violenza. A parte gli scherzi, lei è stata la mia confidente più preziosa e l’alleata più importante, quella che mi ha tranquillizzato maggiormente. E poi, non so, forse è un pensiero stupido, ma con tutti gli scandali che lei e mio padre hanno affrontato in passato, è come se mi avessero dato l’autorizzazione a fare questo film, la sicurezza che anche io avrei potuto affrontare e superare quello che hanno passato loro».
La critica maggiore a questo film e, in generale, al cinema di Lars von Trier è la misoginia: le donne sono sempre trattate piuttosto male, vittime di violenza, abusate, picchiate…
«È vero che nei suoi film le donne sono sempre in condizioni di sofferenza, dolore, tragedia, ma in realtà è il suo modo di metterle su un piedistallo. A me sinceramente non importa che le donne nei suoi film siano trattate con gentilezza o meno, lo trovo un giudizio sciocco: penso che la maniera in cui von Trier racconta il mondo femminile sia comunque interessante e vada rispettata per quello che è: la visione di un artista. E poi c’è un’altra cosa: mentre giravo avevo l’impressione che la donna fosse lui, che io stessi recitando un personaggio che in realtà era lui stesso».
Quando è importante un film come "Antichrist" nella crescita di un’artista? Lei si sente cresciuta, arricchita in questo senso?
«Lars von trier è un artista, non io. Io sono solo la materia e non ne sono affatto dispiaciuta: mi piace essere manipolata».
Però lei è anche una musicista…
«Ho solo la fortuna di lavorare con grandi musicisti. Vede, ho un patologico complesso di inferiorità nei confronti degli autori, compositori, registi: loro sì sono artisti veri, non io».
Se non come artista, come donna, che cosa le ha insegnato questo film?
«Che posso lasciarmi andare. E che ho una straordinaria capacità di dimenticare in fretta le sofferenze».
(Grazia, 02/06/2009)

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