È veramente un gigante Eric Cantona e fa quasi tenerezza vederlo seduto con le mani conserte come un bravo ragazzo qualsiasi rispondere in un inglese non proprio fluente alle domande dei giornalisti di cinema, lui che è passato alla storia anche per una conferenza stampa surreale in cui - dopo aver tirato un calcio a un tifoso della squadra avversaria - davanti a cronisti increduli che gli chiedevano spiegazione del folle gesto dichiarò: «Quando i gabbiani seguono un peschereccio è perché pensano che le sardine saranno gettate in mare». Era il 1995 e la partita era Crystal Palace contro Manchester United. All’epoca Cantona era “The King”: mito assoluto, giocatore straordinario, in grado di incantare i tifosi per quello che faceva in campo e di stupire i giornalisti per le sue memorabili uscite ogni volta che si trovava davanti a un microfono. Tanto genio e altrettanta folle sregolatezza, Cantona ha continuato a giocare e segnare fino al 1997, anno del suo ritiro. Da allora si è dato al cinema, prima con ruoli in alcuni film francesi, poi con parti sempre più grandi in film inglesi (Elizabeth con Cate Blanchett, ad esempio). Fino al primo ruolo da coprotagonista ne Il mio amico Eric, ultimo lavoro del regista Ken Loach in cui Cantona recita la parte di se stesso, mito, guida spirituale e non solo, quasi un guru per il suo omonimo, il postino Eric.
“Il mio amico Eric” è stato presentato lo scorso maggio a Cannes e lei ha fatto il tappeto rosso. Come è andata? Si è divertito?
«Tutti mi dicevano che Cannes era stressante, ma forse perché non hanno mai giocato una partita di calcio».
C’è qualche analogia tra le due situazioni: una prima cinematografica e una finale importante?
«Be’ sì, prima di salire sul red carpet ricordo l’eccitazione, che era simile a quella che provavo prima di entrare in campo. In fondo io, Ken Loach e Steve Evets siamo proprio come una squadra».
Nel film e nella vita lei è famoso per i suoi aforismi. Qual è il suo preferito?
«Se vuoi sognare fallo in grande. Con me ha funzionato: da bambino il mio primo sogno era di diventare giocatore di calcio. Il secondo di fare l’attore. Sono riuscito a realizzarli entrambi».
Segue ancora il calcio?
«No, mi capita di vedere qualche partita in televisione una volta ogni tanto».
Come mai il calcio non le interessa più?
«È come quando finisce una storia d’amore: non c’è più passione».
Il calcio che giocava lei è diverso da quello di adesso?
«Mi sembra che parte della passione, del fuoco che c’era in campo sia sparita. Colpa dei media e degli sponsor che per far sì che ci siano partite praticamente ogni giorno hanno investito un sacco di soldi».
A questo punto della sua vita preferirebbe dirigere un film o una squadra di calcio?
«Un film. Ho già avuto un’esperienza da regista con un corto e mi piacerebbe ripeterla».
Con chi si trova meglio con i giornalisti sportivi o con quelli di cinema?
«In entrambi c’è del buono e del meno buono»
Questa è una risposta molto diplomatica. Sicuro che la sua terza vita non sia da politico?
«Per ora voglio continuare nel cinema, poi si vedrà».
Da ragazzino chi erano i suoi idoli? E adesso ci sono giocatori che ammira?
«Ne avevo tanti: è importante avere qualcuno a cui guardare, un modello. Riguardo a ora non mi pace a fare nomi. In generale ammiro quei giocatori che non hanno perso la passione o che non l’hanno persa troppo presto come è successo invece a me. Maldini, ad esempio: ha giocato fino a 40 anni e si capiva che aveva ancora il fuoco dentro».
Da personaggio a personaggio: lei di Mourinho cosa pensa?
«È un grande».
un figo senza senso.
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