martedì 2 febbraio 2010

Quella volta in cui chiesi a Jason Reitman: "Ti hanno mai detto che sembri il gemello di Dave Grohl?". E lui rispose: "Sì"


 Se George Clooney, pur sconfitto ai Golden Globe, dovesse vincere l'Oscar come attore protagonista dovrà ringraziare questo ragazzo canadese dall’aria da rockstar (camicia a quadrettoni e cappello di lana: molto grunge), le idee chiare, l’abitudine ad esporle alla velocità della luce e il vizo di passarsi sempre le mani tra i capelli quando lo fa. A soli 31 anni Jason Reitman è visto come 20 anni fa si guardava a un altro amico di Clooney, Steven Sodenbergh ovvero come al più promettente regista di Hollywood, quello che appena arrivato ha prima incuriosito, poi stupito infine convinto. Per Reitman la sequenza è stata così: prima Thank you for smoking (nominato a due Golden Globe), poi Juno (vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura originale, ma candidato anche come miglior regia), infine Tra le nuvole, il film adulto, quello che unisce con un tocco davvero originale e raro commedia sentimentale e analisi sociale. Soprattutto, quello che pur avendo come protagonista un maschio cinquantenne solitario e senza legami che per lavoro vola da una parte all’altra degli Usa licenziando persone con spietata freddezza, dimostra la capacità di Reitman di raccontare e far parlare le donne come pochi registi sanno fare (bellissima la scena in cui la matura Vera Farmiga e la giovane Anna Kendrick si confrontano su quello che donne di diversa età cercano in un uomo).
Da “Juno” alle due protagoniste di “Tra le nuvole”. Si direbbe che lei è più interessato a raccontare le donne che gli uomini.
«È che mi sembra che le storie maschili siano state già tutte raccontate, mentre sulle donne ci sono ancora così tante cose da dire. E poi sono convinto che le donne di adesso siano estremamente interessanti: questa generazione è la prima ad avere avuto un accesso totale e illimitato al mondo del lavoro ed è la prima a sperimentare sulla propria pelle quanto sia difficile conciliare carriera e il desiderio di una famiglia».
Ne conosce tante di donne così?
«Sono le donne figlie di quelle che hanno fatto il femminismo e quindi cresciute con l’illusione di poter avere tutto e che arrivate a  30 anni si rendono conto che forse tutto non potranno avere. Sono donne estremamente intelligenti. Mia moglie è tra queste».
Il dialogo tra Alex e Natalie sulla lista di cose che si cercano in un uomo quando si hanno 20 anni e quando se ne hanno 35 è talmente veritiero che sembra incredibile l’abbia scritto un uomo. Come ha fatto?
«Ho chiesto aiuto a mia moglie: le ho chiesto di immaginare che cosa la lei di adesso avrebbe detto alla lei di quindici anni prima. Praticamente ho solo dovuto trascrivere mentre lei parlava: il dialogo era già bello fatto».
Lei è sposato, ha una figlia. Cosa c’è in lei di Ryan Bingham?
«Le sue paure sono anche le mie. Anche se sono sposato, ho una bambina stupenda e la mia vita non potrebbe essere più soddisfacente, anche a me capita a volte di fantasticare su come sarebbe non avere nessun legame, ripartire da zero in un luogo nuovo. È un pensiero eccitante».
Anche lei ha la passione di viaggiare e accumulare miglia?
«Negli aereoporti mi incanto spesso davanti al tabellone con gli orari dei voli: sto lì davanti, scelgo la destinazione col nome più esotico e poi cerco di immaginare come sarebbe la mia nuova vita laggiù».
Si dice che, in fondo, un regista fa sempre lo stesso film. Ammesso che sia vero, lei fa sempre film su che cosa? Forse la voglia delle persone di comunicare tra di loro?
«Direi di sì. Mi piace la gente, mi incuriosisce. Sono affascinato dalle relazioni umane, dal modo in cui la gente comunica e molto spesso non si capisce. Credo siano la cosa più divertente che ci sia».
Lavorerà ancora con Diablo Cody, la sceneggiatrice di “Juno”?
«Diablo è praticamente mia sorella, la mia famiglia. Purtroppo non abbiamo ancora trovato un nuovo progetto al quale lavorare, ma prima o poi succederà».
Per il ruolo di Ryan Bingham ha pensato a George Clooney dall’inizio?
«Assolutamente sì. Ho scritto il film pensando a lui e a come la sua voce avrebbe pronunciato le battute».
Ha qualche aneddoto che lo riguarda da raccontare?
«È stato un set molto noioso da quel punto di vista. Prima di cominciare le riprese avevo telefonato a Steven Soderbergh chiedendogli consigli su come lavorare con George. Mi ha risposto: “Andrà tutto bene: è la star meno star che ci sia in circolazione”. Be’, aveva ragione».
Nessun episodio divertente, neanche un pettegolezzo…
«Ah sì: non usa mai il make up. È proprio così come si vede. Non è pazzesco?»

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