Il sottotitolo italiano di
The informant! recita la seguente frase: “basato su un vero pettegolezzo”. Ed è forse per onorare l’argomento del film che il giorno dopo averlo incontrato a Venezia - dove
The informant! è stato presentato fuori concorso - in rete circola la notizia, poi subito smentita, della morte di Matt Damon. Cioè, Matt Damon. Uno che altro che gossip. Pensi a lui e pensi piuttosto a impegno, solidità, costanza, serietà. L’identikit del bravo ragazzo, insomma, che si presenta alle interviste puntuale, è garbato, ti stringe la mano, risponde con la ricchezza di aneddoti di chi sa fare bene il proprio mestiere, sia quello di dare a te giornalista sufficiente materiale e mandarti a casa contento, sia quello di ingrassare più di dieci chili per interpretare Mark Whitacre, manager di una multinazionale dell'industria agroalimentare, che dopo aver scoperto l'esistenza di un accordo sul controllo dei prezzi progettato dalla dirigenza per cui lavora decide di diventare collaboratore dell’FBI fino a quando viene travolto dal castello di menzogne messo in piede nel tentativo di truffare sia la sua azienda che l’FBI stessa. Un ruolo che, al di là del succeso del film, in verità un po’ troppo macchinoso e impegnativo da seguire, regala a Damon l’occasione per un’altra grande interpretazione da bugiardo e truffatore, così come era successo ne
Il talento di Mr. Ripley «il ruolo che più ho amato in assoluto», dice lui, serissimo.
L’8 ottobre compie 39 anni. Come si sente a questo punto della sua vita e della sua carriera?
«A parte constatare che a 39 anni mettere su 15 chili in poco tempo è molto facile sto benissimo. Fantasticamente. Negli ultimi 12 anni ininterrotti di lavoro mi sono molto divertito, mi è piaciuto, non ho rimpianti per nessuno dei film che ho girato e per nessuna delle scelte che ho fatto».
A guardarla dà l’idea di un uomo risolto. È così?
«Ho una moglie fantastica, dei figli meravigliosi. Non potrei essere più felice di come sono. E lo dico toccando ferro».
Invecchiare la spaventa?
«No, soprattutto se qualcuno domani scoprisse il modo per rallentare l’invecchiamento: le confesso che non mi dispiacerebbe fermarmi a questa età ancora per un po’. A parte gli scherzi no, non mi fa paura. Mi rendo conto che è una grave ingiustizia, perché per le attrici intorno ai 40 i ruoli buoni cominciano a scarseggiare, ma per un uomo è esattamente il contrario: tra i 40 e i 50 i ruoli che ti offrono sono in assoluto i più interessanti e complessi della tua carriera. È un’ingiustizia, lo so, ma purtroppo Hollywood funziona così: per un attore della mia età questi sono i migliori anni della sua vita. Io poi ho l’enorme fortuna di poter lavorare con registi che ormai sono miei amici:
Steven Soderbergh con il quale ho già girato cinque film e con cui girerò il sesto la prossima estate e Clint Eastwood con il quale ho finito di girare
Invictus e con il quale girerò un
altro film il prossimo autunno. Mi piace poter lavorare sempre con le stesse persone, spero di poterlo fare anche in futuro».
Quindi è stato Steven Soderbergh a scegliere lei come protagonista di “The Informant!”? Oppure è il contrario?
«Erano sette anni che cercavamo di fare questo film e finalmente ci siamo riusciti. La prima volta che Steven mi ha parlato del progetto era il 2001. La mia carriera non stava andando benissimo, stavo girando il
primo episodio di Bourne ma nessuno sapeva se avrebbe avuto succeso, mentre Steven era al top perché aveva appena ricevuto l’Oscar per
Traffic. Insomma, una sera sono a Parigi e lui mi chiama super eccitato dicendo di aver trovato una sceneggiatura fenomenale, che vuole assolutamente che io la legga e che quindi mi sta faxando le prime 80 pagine. Io non capivo. “Ma che cosa vuoi che faccia? Che lo produca, che lo riscriva?” gli ho chiesto. E lui: “No, lo dirigo io e voglio che sia tu a fare il protagonista!”».
E lei dopo aver letto le prime 80 pagine cosa ha pensato?
«Che quello di Mark Whitacre fosse uno di quei ruoli interessanti e complicati che ti capitano una volta ogni sette, otto anni se sei fortunato».
L’amicizia che lega lei, George Clooney, Steven Soderbergh, Brad Pitt è nota. Mi faccia capire: vi telefonate tra di voi offrendovi le parti nei rispettivi film o comunque, siccome si tratta di lavoro, dovete fare riferimento ai vostri agenti?
«No, nessun agente, ci chiamiamo direttamente tra di noi. Le faccio un esempio: quando Steven stava girando
Che in Spagna mi ha chiamato per chiedermi di fare un piccolo ruolo, un cameo. Purtroppo però il budget di quel film era piuttosto limitato e non c’erano i soldi per farmi arrivare lì dagli Usa. Così abbiamo avuto un’idea: abbiamo aspettato che io andassi in Spagna a fare promozione per l’ultimo dei Bourne (Bourne Ultimatum, ndr) e abbiamo sfruttato l’aereo che la produzione di Bourne mi aveva messo a disposizione».
Per il ruolo di Mark Whitacre ha detto prima di essere ingrassato di 15 chili. Le è pesato sottopori a una tale trasformazione fisica?
«Tutte le volte che mi danno una parte la mia reazione è: “Ecco, adesso mi tocca andare in palestra”. Lavorare a questo film è stata una pacchia da questo punto di vista. E il ruolo è così bello che avrei fatto qualunque cosa pur di averlo».
Che cosa ha mangiato per ingrasare?
«Pizza, birra, hamburger. Di tutto, insomma».
Non ha pensato di usare delle protesi invece di dover mettere su dei chili veri?
«No, perché quando ingrassi ingrassi dappertutto, non solo sulla pancia o sul sedere. Anche le dita ingrassano. E poi i grassi hanno un modo diverso di camminare, di muoversi nel mondo, i portare i vestiti... ».
Perché era importante che il personaggio fosse grasso? È stata una scelta di Soderbergh?
«Dopo aver letto la sceneggiatura gli scrissi una mail chiedendogli come volesse che fosse Mark Whitacre. La sua risposta è stata: “pingue”. Il suo aspetto fisico così rotondo e indefinito è una metafora del suo carattere: non sai mai bene dove comincia e dove finisce. L’unica aggiunta posticcia l’abbiamo fatta al naso: volevamo che il viso fosse assolutamente privo di spigoli, di angoli, che fosse tutto rotondo».
Il suo ruolo è anche molto divertente. A quali attori brilanti si è ispirato per preparare la parte?
«La sceneggiatura era così ben scritta che l’ho creato partendo da zero. E poi mi sono ispirato a persone che frequento nella mia vita».
Si è ispirato anche a George Clooney?
«No, ma George è un grande attore ed è uno da cui è piacevole rubare segreti. Ha già visto il suo ultimo film
Up in the air? No? Be’ è fantastico. Veramente fantastico».
Si è fatto un’idea del perché la gente mente? E sopratutto qual è la ricetta per la bugia perfetta?
«Credo che i bravi bugiardi siano quelli che credono davvero in quello che dicono. In fondo è un po’ come per gli attori: se credi in quello che stai recitando sei credibile, altrimenti no».
Lei che bugiardo è?
«Pessimo. Divento tutto rosso. E poi mentire è troppo faticoso, non fa per me».
(Grazia, 28/09/2009)