Alla fine glielo dico, anche a rischio di sembrare scortese. Dopo tutta la gentilezza, la tazza di tè, le domande - sue a me - sulla famiglia e gli antenati. «Sa che sono veramente stupita che lei abbia ancora voglia di farsi intervistare? Voglio dire, potrebbe imporre solo interviste via mail o al telefono o farne una all’anno col New York Times e basta». «Ma io a questo disco ci tengo, voglio che la gente lo conosca. Parlare con lei non è mica una tortura, sa?». È che a forza di mezze calzette che no-l’intervista-no-perché-sono-troppo-esposta, una si dimentica che cosa voglia dire - in termini di professionalità, ma non solo - essere una popstar da decine di milioni di dischi venduti e una carriera trentennale che non conosce pause né flessioni e che è passata indenne sia da imbarazzanti rivelazioni sulla sua vita sessuale (le famose otto ore di sesso tantrico, le fotografie fuori da un bordello tedesco) sia da una reunion con i Police conclusasi ad agosto del 2008 al Medison Square Garden dopo un anno di concerti sempre esauriti.
Siamo a Londra, in un edificio vittoriano stretto tra The Mall e Green Park. È al terzo piano di questa palazzina che Sting mi riceve per parlare del suo nuovo progetto: un disco di musica tradizionale dedicato al tema dell’inverno, registrato lo scorso autunno nella sua casa in Toscana. Jeans, maglietta bianca, barba incolta, fisico asciutto e leggermente più tarchiato di come ti sei immaginata vedendolo sempre e solo da sotto il palco, l’uomo di cui ho consumato i dischi da ragazzina mi stringe la mano e a bassa voce mi chiede se il suo ultimo lavoro mi sia piaciuto. Rispondo che sì, mi è piaciuto, ma che sento di aver ancora bisogno di educazione a questo tipo di musica. «È qualcosa di diverso», dice, «ma è proprio quello che volevo fare. Mi piace sorprendere la gente. Il giorno in cui smetti di sorprendere te stesso e gli altri finisce che ti annoi».
Perché proprio l’inverno e non, che so, l’autunno?
«È la mia stagione preferita. In estate non vedo l’ora che venga il momento di infilarsi il maglione e uscire a passeggiare. Da bambino adoravo la neve perché quando nevicava era tutto più magico. Sono cresciuto in una città industriale quindi non esattamente bella o poetica, ma con la neve si trasformava in qualcosa di magico. L’inverno è il periodo dell’anno che favorisce maggiormente l’immaginazione: ci si siede davanti al camino, si riflette sul passato, su quello che è stato l’anno appena trascorso, ci si prepara a quello che verrà. È una stagione psicologica oltre che temporale».
E perché non un disco di canzoni più tradizionalmente pop?
«Il repertorio del quattordicesimo e quindicesimo secolo, la tradizione pagana, quella folk, la musica classica: è questa la musica che mi interessa in questo momento».
Veramente io ieri sera ho visto il film “Bruno” e nel finale c’è lei con Bono Vox, Elton John, Chris Martin che canta “Bruno colomba di pace” scimmiottando e ironizzando su operazioni come il Live Aid…
«Ammiro molto Sacha Baron Coehn, è una persona intelligente e coraggiosa per il tipo di comicità che fa: cantare quella canzone idiota è stato molto divertente».
Essere Sting vuol dire questo? Poter cioè passare da una canzone comica a un disco molto intimista sull’inverno senza perdere di credibilità?
«La mia vita è incantevole. Faccio cose interessanti e vengo pagato per fare cose che farei anche gratis».
L’etichetta di popstar le dà fastidio soprattutto adesso che i suoi interessi sono così diversi?
«No. È stato il modo in cui sono entrato nel mondo della musica trenta anni fa e capisco che mi sia rimasta appiccicata addosso. Quello che tento di fare oggi è di trasformare il mio interesse a volte un po’ esoterico per la musica in qualcosa che possa avere un appeal anche per il grande pubblico. Mi piace far conoscere alla gente cose nuove. In fondo, prima di diventare un musicista professionista ero un insegnate. Si vede che un po’ lo sono ancora».
Che cosa le piaceva del mestiere di insegnante?
«Che per spiegare ad altri una materia devi saperla veramente bene quindi impari tantissimo».
I suoi figli hanno tutti scelto carriere nel mondo dello spettacolo: Coco fa la modella e la musicista, Jake e Bridget sono attori. È felice di questa scelta?
«Sono più dispiaciuto che nessuno dei miei figli abbia scelto di fare l’avvocato o il medico. Sa, invecchiando un medico in famiglia avrebbe fatto comodo».
So che Coco ha appena firmato un contratto discografico e che sta registrando il suo primo disco. Lei è coinvolto in qualche modo?
«No, lei non mi darebbe comunque ascolto. Quando era piccola cantavamo spesso insieme, quindi qualcosa di buono le ho insegnato: ha molto talento, canta benissimo e sono sicuro che avrà successo».
La fa soffrire che non voglia il suo aiuto?
«Certo che mi fa soffrire, ma capisco che per crescere e diventare adulta debba bandirmi dalla sua vita. Riconosco il processo: anche io ho fatto così».
Ha avuto un’infanzia felice?
«Non particolarmente. Non ho nessun rimpianto, ma non è stata un’infanzia felice. In qualche modo questo disco riflette quel periodo della mia vita quando d’inverno accompagnavo mio padre a consegnare il latte nelle case e fantasticavo su quello che sarebbe stata la mia vita, sul mio diventare musicista, sull’avere una famiglia. Sognare fa bene perché a forza di farlo a volte i sogni si avverano: a me è successo. Sto ancora vivendo un sogno. Qualcuno prima o poi mi sveglierà».
È questo l’insegnamento che ha dato ai suoi figli: l’importanza del sogno?
«Sì e del lavoro come mezzo per realizzarsi. C’è differenza tra essere famosi ed essersi guadagnati l’apprezzamento della gente per quello che si è realizzato nella vita. Per essere famosi al giorno d’oggi basta una fotografia sul giornale. Quello che ho cercato di insegnare loro è l’importanza dell’impegno, del tentare più che dell’avere successo».
Lei con la celebrità come convive?
«Bene nel senso che non è un argomento che mi interessa. Non penso a me come a una persona famosa, vivo una vita normale».
È possibile vivere una vita normale?
«Abito dall’altra parte del parco, vengo qui a piedi, non ho guardie del corpo. Per me non è difficile anche perché ho prima di diventare famoso avevo una vita vera: un mutuo, un lavoro, un’assicurazione sanitaria. Forse per gente che non ha mai avuto la possibilità di vivere una vita normale è più difficile, ma se incominci a costruire muri intorno a te per tenere lontana la realtà finisci come Michael Jackson».
Lei e sua moglie Trudie siete sposati da 30 anni: è quasi un record, altro che normalità.
«Il matrimonio è un’istituzione molto complicata. La cosa più importante è che a me mia moglie piace. Capisce la differenza? Non è solo amore, è che una persona ti deve piacere anche per le cose che dice, per quello che pensa. La cosa difficile è mantenere nel tempo questi sentimenti perché le persone cambiano e allora devi adattarti, non puoi essere rigido. Naturalmente io non sono il marito perfetto e lei non è la moglie perfetta, ma insieme navighiamo. Trudie è la mia migliore amica. Siamo della stessa generazione, abbiamo avuto un’educazione simile, esperienze simili».
Che effetto le fa vedere alcuni suoi colleghi che a 50 anni suonati scelgono come compagne donne di 20?
«Il ruolo della musa è sempre esistito. Anche Charlie Chaplin era ossessionato da donne molto giovani. A me non fanno nessun effetto. Ho insegnato per anni a studentesse adolescenti: sono immunizzato a vita».
Inverno vuol dire soprattutto Natale. Come lo si celebra in casa Sting?
«Insieme: è l’unico giorno in cui i miei sei figli tornano tutti a casa. In questo siamo proprio come una vera famiglia italiana. Infatti dopo tre giorni cominciamo a litigare».
(Grazia 12/10/2009)
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